La questione droghe leggere

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L’episodio di Walter De Benedetto ci ha riportato davanti all’annosa questione delle droghe leggere.

Potremmo parlare a lungo della necessità terapeutica di tante persone che soffrono di terribili dolori e che non riescono ad accedere alle dosi di cannabis garantite loro soltanto in linea teorica. Potremmo e ci troveremmo davanti a una situazione vergognosa, che obbliga persone malate e doloranti a scandagliare la città alla ricerca delle poche quantità di un medicinale che serve loro per garantirsi una qualità di vita decente e che il sistema sanitario riconosce loro, solo sulla carta, senza tentare di rendere questo diritto davvero reale, in maniera non dissimile al diritto all’interruzione di gravidanza.

Potremmo sdegnarci non soltanto per il tempo, il denaro e l’energia mentale che Walter De Benedetto ha sprecato per dimostrare al sistema che non è uno spacciatore, ma anche per il tempo del pubblico impiego e il denaro delle nostre tasse che lo stato ha sprecato con lui, invece di affrontare questioni reali, serie, che ci riguardano. 

Ma guardiamo oltre. I casi sono due. O accettiamo d’affidarci finalmente alla responsabilità individuale dei singoli individui, legalizzando le droghe leggere e lasciando a ognuno la libertà di autoregolamentarsi, oppure decidiamo che nessuno di noi ha la capacità personale di gestirsi. 

Attenzione, però. Se è così, questo vale per tutto. Non siamo in grado di autoregolamentarci? Allora bisogna proibire anche tutti gli alcolici, che hanno effetti alla pari (e a dire la verità in certi casi ben più gravi) delle droghe leggere e naturalmente anche il tabacco (che è LETTERALMENTE un veleno che uccide lentamente chi  ne fa uso, guastando anche la salute di coloro che gli stanno vicino).

Vie di mezzo razionali, che non siano schiave di pregiudizi culturali, non esistono.

Accodiamo a questo ragionamento la consapevolezza, ormai consolidata da tutti i dati raccolti nella storia, che il proibizionismo non funziona. Nel senso che non riduce in alcun modo il consumo della sostanza vietata. Aggiungiamo anche il dato che leggi più severe (come a esempio la passata Giovanardi-Fini) non migliorano la situazione e non riducono l’aggancio che la criminalità ha su questo tipo di reato.

Quando spacciare droghe leggere e droghe pesanti è diventato  uguale davanti alle legge, cosa è successo, infatti? Che il consumo di cocaina e droghe pesanti è aumentato esponenzialmente. Perché se rischio gli stessi anni di galera a spacciare marjuana o a spacciare cocaina, meglio la seconda, in cui ho margini di guadagno ben migliori. 

E che succede quando il sistema di spaccio “spinge” verso una certa direzione? Che fa breccia, specialmente nei più giovani, così che anche il consumo del cliente viene influenzato e cambia. Risultato. Più tossicodipendenti di prima, più morti e molti, molti più soldi per le mafie.

Oppure liberalizziamo le droghe leggere. Ne facciamo un monopolio di stato, rendendole soggette a leggi chiare, di modo che debbano essere prodotte in sicurezza, senza scarti chimici, senza sostanze pericolose, ma regolamentate (proprio come facciamo già per alcol e tabacco). 

Immediatamente strappiamo loro il fascino del proibito, diminuendo la presa che hanno adesso, per questo motivo, sui più giovani.

Otteniamo l’incredibile risultato di togliere alle mafie e alle camorre un introito enorme, che ogni anno rende loro cifre favolose, inimmaginabili, con le quali molto spesso queste realtà finanziano attività illecite gravissime, quali la tratta delle prostitute o il terrorismo. 

Creiamo posti di lavoro regolari, nuove aziende, un nuovo indotto, nuove realtà fruttifere. E per finire, tassiamo un commercio enorme, fino a qui compiuto sempre soltanto a nero, ottenendo una nuova forma d’introito per le casse dello stato. Denaro che può servire a tutti noi e alla nostra società per migliorare ed evolvere ancora. 

Mettendo fine a un’ipocrisia che ci accompagna da generazioni, per cui rovinarsi di tequila è considerato normale mentre curare i proprio dolori con una canna ti porta alla cattedra di un tribunale.

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Paolo Leccese

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