All’alba della tornata elettorale che ci ha dato la formazione del nuovo Parlamento è il momento di capire cosa ci ha portati a un governo fortemente di destra e di definire il lavoro che dovremo iniziare a fare da subito come movimento politico, fatto di attivismo, impegno e visione. Se chi andrà a formare il governo ha come mantra “Dio, patria e famiglia”, noi dovremo lavorare a un progetto di società europea, laica e fondata sulla garanzia di eguali Diritti ed opportunità per tutte e tutti.
E dobbiamo farlo in modo serio, energico e metodico, per far tornare le cittadine e i cittadini a credere nella politica prima e a parteciparvi direttamente poi.
Le elezioni in Italia hanno visto la destra vincere la maggioranza in entrambe le camere del Parlamento: 44% dei voti e oltre il 50% dei seggi secondo le stime più aggiornate. Giorgia Meloni, la leader del partito più votato, Fratelli d’Italia, ha grandi probabilità di diventare la prima Presidente del Consiglio donna. Questo ovviamente non è di per sé una garanzia di una politica progressista, femminista e inclusiva. Anzi, Giorgia Meloni, il cui partito supporta l’Ungheria illiberale di Orban, si avvia a costruire l’esecutivo insieme agli alleati vicini alla Russia di Putin, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, in quello che potrebbe essere, a dire di molti osservatori stranieri il governo più a destra che il nostro Paese abbia sperimentato dai tempi del fascismo.
Tutto questo è già chiaro, in Italia così come in Europa. Ci sono alcune cose che sono invece meno visibili e che forse meriterebbero più attenzione.
Innanzitutto, sono state le elezioni con la più bassa affluenza nella storia dell’Italia repubblicana: 64%, quando nel 2018 era al 73%. Parte di questo astensionismo è dovuto in parte al fatto che milioni di cittadine e cittadini fuorisede non hanno potuto votare perché non abitando presso il proprio seggio di residenza, non si sono potute e potuti permettere il viaggio di ritorno a casa. A queste si aggiungono le italiane e gli italiani residenti in Italia ma senza cittadinanza. Il conto sale così a circa 6 milioni di persone che non hanno potuto esercitare un loro diritto e che si sono ritrovate senza voce.
Inoltre, è mancata una seria proposta politica alternativa, capace di convogliare le speranze di chi si riconosce in una agenda progressista in un progetto coerente e unitario. Questo vuoto non è limitato solo a questa campagna elettorale, ma è frutto dioltre 10 anni di scelte politiche ben chiare, , che hanno portato le istanze dei gruppi sociali più deboli a essere fagocitati dalla retorica populista di destra e di sinistra.
Un fallimento derivato anche dall’incapacità delle principali forze promotrici dei valori di “sinistra” di farli coincidere nelle azioni con un’idea di progresso , in cui i deboli, gli ultimi, gli emarginati avessero una voce e una dignità. E invece, dalle promesse mai realizzate all’incoerenza di chi parla di migrazione umana e poi stringe accordi con regimi criminali, all’arroccamento nei centri urbani a sfavore delle periferie, all’abbandono di temi fondamentali come il lavoro e lo sviluppo sostenibile, ai patti al ribassi sui diritti civili e sociali, la lista degli errori è lunga ed evidente.
Il sistema politico ed elettorale, infine, esclude le nuove forze politiche che cercano di portare nuove idee e volti alla politica italiana e che vengono osteggiate dalla burocrazia e dalla mancanza di fondi. Con Volt l’abbiamo provato sulla nostra pelle: correre alle elezioni italiane senza fondi e senza grandi nomi sui cartelloni elettorali è una missione impossibile.
Insomma, non c’è da stupirsi se questo è lo stato della politica italiana oggi, perché non è possibile un ricambio.
E ora si parte.
Siamo la generazione europea, abbiamo idee ed energie da tutto il continente per un’Italia che non vuole tagliare fuori nessuno, dalla società e dalla politica, a prescindere dal genere, età, reddito, provenienza geografica. Vale per gli Stati e vale per le persone: le differenze arricchiscono e la società progredisce valorizzando le qualità uniche e irripetibili di ogni individuo. Altro che “devianze”.
Immaginiamo una nuova forma di politica, in cui la cooperazione transfrontaliera sia centrale. Crediamo anche che l’UE debba essere radicalmente riformata per operare in modo più democratico, più forte e con maggiore decisione. Altro che definirsi “europeisti”, non basta certo questo per sostenere la vera cooperazione tra Paesi e mettere da parte gli interessi nazionali in nome di quelli della comunità.
Ci impegniamo per una crescita sostenibile applicando il concetto di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, che devono essere raggiunti senza lasciare indietro nessuno e lottando contro le iniquità.
Il futuro della politica è qui: è chi non ha potuto votare stavolta e chi non ha potuto presentare le proprie idee, è chi è delusa o deluso ma non vuole abbandonare la battaglia, è chi ha voglia di costruire invece di lasciar perdere. Ci siamo.